Le icone del formaggio italiano
L'editoriale
Siamo sempre più convinti che questa è la strada giusta. Lo diciamo da tempo: i formaggi
artigianali italiani devono uscire dall’anonimato. Ora tempi sono maturi, quindi
ecco la svolta.
Non parleremo più di formaggio, di mozzarella di bufala, di pecorino, di burrata, in senso
generico. Ma del formaggio e del suo produttore. Scriveremo dei protagonisti dell’arte casearia
artigianale, racconteremo la storia, come nascono i loro prodotti.
I formaggi artigianali, anche se appartengono alla stessa DOP, non sono tutti uguali. Sono
prodotti con lo stesso metodo, lo stesso disciplinare, ma le variabili della produzione sono
così tante che non sono mai uguali. Sono opere uniche.
La fortuna è proprio questa. L’unicità.
Dietro grandi formaggi ci sono storie uniche. Le cui radici spesso affondano nella vita rurale,
non troppo remota, fatta di lavoro eroico e di sacrifici.
Questo mondo artigianale caseario fa parte del patrimonio economico del nostro paese
che va protetto e riconosciuto. Molti paesi copiano ed altri copieranno i formaggi italiani,
ma non saranno mai come i nostri, gli originali. Sono unici, opere uniche appunto. Abbiamo
sentito troppo volte che “il formaggio va valorizzato”. Ma questo termine “valorizzare”,
è fin troppo usato. Soprattutto non è seguito da azioni efficaci per arrivare allo scopo di
dare valore al formaggio. Prova ne sia che si parla ancora di centesimi del prezzo del latte…
Per questi motivi da oggi nella prima pagina del nostro magazine STORIE DI FORMAGGIO
ci sarà un personaggio simbolo di un formaggio o di una tradizione casearia. Daremo attraverso
i ns. media, social e le manifestazioni casearie il nostro contributo per far uscire il
formaggio dall’ anonimato.
Per “valorizzare” bisogna riconoscere, soprattutto far onoscere acconto al formaggio il
nome ed il volto di chilo produce.
Pensate cosa sarebbe il cabernet sauvignon di Bolgheri senza il brand Sassicaia? Il nebbiolo
prodotto nelle Langhe senza il brand Monfortino di Giacomo Conterno? Se ci è consentito
il paragone con il vino, il mondo caseario artigianale è ancora all’epoca del vino sfuso.
Si vende “formaggio” come una volta si vendeva il “vino” sfuso.
Certo, ancora oggi si vende il vino sfuso, e si venderà sicuramente ancora domani “formaggio”
per uso quotidiano ed in cucina. La questione è che non si sono sviluppati “brand riconoscibili”
di formaggio artigianale dagli appassionati e tanto meno dal grande pubblico.
In conclusione il “formaggio” ha bisogno di essere conosciuto e riconosciuto. Ecco perché
abbiamo messo per la prima volta “in copertina” un casaro.
Luca Olivan e la Redazione di Storie di Formaggio
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